Antifascista sarà lei

Esattamente novantanove anni fa, il primo di maggio 1925, Benedetto Croce pubblicava un breve “Manifesto degli intellettuali antifascisti” come risposta polemica al più prolisso “Manifesto degli intellettuali fascisti” di Giovanni Gentile, apparso solo pochi giorni prima sul quotidiano “Il Popolo d’Italia”.

Il livello culturale è nel frattempo forse un po’ calato, ma si direbbe che oggi siamo ancora alle prese con diatribe simili. Una differenza importante rispetto al secolo scorso è che allora era ben chiaro che cosa si dovesse intendere per “fascismo” e “antifascismo”, mentre oggi, vuoi per imperizia, vuoi per precisa volontà di confondere le idee, i termini sono in qualche modo annacquati, per cui ritengo necessario innanzitutto fare un po’ di chiarezza.

Vorrei partire dal prefisso “anti-, che forse è in tutto il discorso quello che crea più problemi. C’è chi si inalbera a priori quando il suo interlocutore è anti-qualcosa, accusandolo di essere “contro” a prescindere, di dire sempre “no” a tutto senza criterio, e così via. Consideriamo però il significato che questo prefisso ha in una parola come “antìpodi”: essa indica semplicemente ciò che si trova, sul globo terrestre, dalla parte diametralmente opposta rispetto ai piedi di qualcuno, ovvero il punto della superficie terrestre più lontano da essi. In questo senso, l’anti-fascismo è semplicemente ciò che si trova all’estremità opposta (quindi in opposizione) rispetto al fascismo. Questo termine non ha pertanto alcun significato intrinsecamente negativo, e a priori non indica necessariamente qualcosa che si trova in conflitto con il fascismo, esattamente come gli italiani non sono necessariamente in conflitto con i neozelandesi per il semplice fatto di trovarsi ai loro antìpodi.

Detto questo, ci resta da delineare quali siano le caratteristiche principali del fascismo, e il gioco è fatto. Dobbiamo solo superare un piccolo ostacolo: c’è chi non si fida dei libri di storia perché sospetta, comprensibilmente, che possano essere stati scritti dagli antifascisti per mettere in cattiva luce i fascisti. Ma per sapere che cosa sia il fascismo non c’è bisogno dei libri di storia: abbiamo la fortuna di poter ricorrere alla viva voce del suo fondatore e del suo principale ideologo, ovvero di Benito Mussolini e del già citato Gentile, i quali insieme hanno redatto una fondamentale Dottrina del fascismo, con lo scopo di inserirla nientemeno che nell’enciclopedia Treccani.

Si legge ad esempio in questo autorevolissimo documento: “il fascismo è contro la democrazia”, e più precisamente: “la forma più schietta di democrazia” è quella “che nel popolo si attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno”.

Applicando il principio degli antìpodi, ne consegue che l’antifascismo è radicalmente democratico e rifiuta gli ordinamenti basati sulla volontà e sul potere di uno o di pochi.

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Quasi una tautologia

Se mi chiedessero qual è la mia parabola evangelica preferita, sarei sulle prime tentato di sceglierne una tra quelle più apertamente paradossali: quelle che, all’interno di una situazione tratta dalla vita quotidiana, propongono uno sviluppo del tutto controintuitivo e inatteso, incompatibile con ogni comune logica umana. Alla fine probabilmente però ne indicherei una che si trova esattamente agli antipodi, e per la precisione questa:

Un uomo aveva due figli; si rivolse al primo e disse: “Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna”. Rispose: “Non voglio”; dopo però, pentitosi, andò. Il padre si rivolse al secondo e disse allo stesso modo. Ed egli rispose: “Vado”; ma non andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?

Qui non si trova proprio nulla di paradossale; al contrario la risposta alla domanda è del tutto ovvia e scontata. Per chi non conoscesse il significato del termine “tautologia”, ne è un esempio lampante proprio questa frase: Il figlio che ha compiuto la volontà del padre è quello che ha fatto ciò che il padre gli ha ordinato.

Che senso ha quindi proporre una parabola tautologica, la risposta alla cui domanda conclusiva è elementare e non dice nulla in più del suo presupposto?

La soluzione del dilemma è semplice: la parabola fa ricorso a poche semplici parole per sbattere brutalmente in faccia agli ipocriti — in primo luogo a quelli che detengono posizioni di potere — la loro ipocrisia nella sua forma più nuda e spudorata; è evidente che l’efficacia del risultato è tanto maggiore quanto più la forma della parabola che lo persegue è elementare e disarmante.

Se ai tempi di Gesù l’ipocrisia era così diffusa e radicata da meritare il primo posto nella lista dei nemici del Regno di Dio, va detto che oggi non siamo messi meglio. Basta prendere in considerazione la classe politica, che è, almeno in uno stato democratico, espressione altamente rappresentativa della popolazione che vota per essa.

Se vi capita di ascoltare il discorso di un personaggio politico e sentirgli dire cose che vi suonano un po’ strane, vi propongo un esperimento: provate a sostituire alcune parti del discorso con il loro opposto. Supponiamo che il politico in questione ad un certo punto dica: “è in cima alle nostre priorità”; provate a sostituire queste parole con: “non ce ne frega assolutamente nulla”. Può darsi che il risultato appaia molto più convincente. Come il secondo dei due figli nella parabola, costui sta dicendo una cosa, mentre il suo pensiero e le sue azioni concrete si trovano all’esatto opposto.

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L’imbranato

Credo di avere qualche problema con il mio subconscio, forse mi servirà uno psicanalista di quelli bravi. Io che sono un tipo così pacifico, che non ho mai usato altra arma che la parola, che non ho mai fatto ricorso ad altra forza che quella della ragione, fare un sogno del genere! Sto passeggiando tranquillo ai margini di un grande parco quando un’automobile accosta vicino a me. Vedo che a bordo ci sono diverse persone; mi fanno un cenno. Mentre percorriamo sperdute strade di campagna ho un barlume di lucidità e mi rendo conto che nel mondo reale non sarei mai salito su un’auto piena di sconosciuti con una simile facilità. Sono tutti molto cortesi, ma a volte ho l’impressione che quando volgo lo sguardo fuori dal finestrino si lancino tra loro occhiate complici e si trattengano a stento dal ridacchiare.

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Post traumatico

Ai lettori che fossero rimasti traumatizzati dagli ultimi articoli pubblicati posso subito offrire una rassicurazione: questa volta si parla di cose gravi ma non serie. Essendo che tutto è connesso a tutto, comunque, troverete alla fine un legame con quanto precede.

Ho i miei buoni motivi per affrontare oggi una questione linguistica discutendo un paio di casi di degenerazione della lingua italiana che stanno progressivamente infestando i giornali e rischiano quindi di venire poi accolti a pieno titolo nei vocabolari.

Iniziamo dal verbo “postare”, che risulta attestato fin dal ‘500, utilizzato quasi esclusivamente in ambito militare e la cui origine e il cui significato sono analoghi al più comune “appostare”. Brutto finché volete, ma in questi secoli non ha arrecato grossi danni alla lingua italiana. Ora però la vera minaccia viene dal suo omofono beceramente derivato dall’inglese “to post”, verbo che al suo antico significato di “affiggere” aggiunge quello più moderno di “condividere su Internet”.

Ogni volta che qualcuno arbitrariamente applica il suffisso “-are” ad una qualunque parola inglese e inizia a coniugare il risultato come se fosse un verbo italiano si compie un piccolo scempio, ma l’uso del verbo “postare” nella nuova accezione (insieme ovviamente allo strettamente correlato sostantivo “post”) sta diventando così virulento che non si può più stare zitti a guardare senza fare niente.

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Questione di intelligenza

Qualche anno fa, in un articolo che trattava — tra le altre cose — del realizzarsi delle profezie contenute nella letteratura fantascientifica, avevo fatto riferimento ad un breve racconto di Isaac Asimov. Anche in questa sede potrei citare altri racconti dello stesso autore (ad esempio questo) allo scopo di introdurre il tema che allora era stato toccato un po’ di sfuggita, ma che oggi affronterò in maniera più approfondita, visto che recentemente ha iniziato a mettere in fibrillazione le autorità di molti Paesi: l’intelligenza artificiale.

Uno dei motivi dichiarati per cui queste autorità si interessano all’argomento è preservare la garanzia di alcuni diritti civili che potrebbero essere messi a rischio da un uso scorretto di tali tecnologie. Un motivo meno esplicito ma probabilmente più grave è il timore che una loro diffusione incontrollata possa portare molti cittadini ad affidarsi interamente ad esse e a dismettere definitivamente l’ormai pleonastico fardello della propria scatola cranica. Questo mostra che in realtà non si è ancora arrivati al nocciolo del problema, poiché la vera questione su cui si concentra oggi l’attenzione, più che l’intelligenza artificiale, è ancora una volta la stupidità umana.

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Quiminale

Quando Berlusconi è stato proclamato ufficialmente candidato al ruolo di Presidente della Repubblica, come prima cosa mi sono visto balenare davanti la pletora di articoli che, una decina d’anni fa, avevo incentrato sulla sua abietta figura.

Uno dei primi flash è stato il seguente passo: “Berlusconi ha più vite di un Terminator, e quando sembra spacciato è capace di ricominciare a strisciare aggrappandosi con i denti alle gambe delle sedie”. Certamente quando lo scrivevo avevo ben chiaro il suo significato, ma sinceramente non avrei immaginato di ritrovarmi a riesumarlo più di due lustri dopo la sua pubblicazione.

D’altra parte uno degli ultimi articoli in cui nominavo il lestofante ne preannunciava distopicamente la risurrezione, e il suo agghiacciante vangelo, che risale all’anno precedente, termina tristemente con il popolo che prega invano di essere liberato dall’incomoda presenza.

Mi sembra inutile ora l’articolo in cui mi soffermavo dettagliatamente sui suoi crimini quasi quanto quello in cui cercavo, per l’ennesima volta, di dissuadere un suo elettore dal votarlo. E mi sembra attuale invece quello in cui paventavo la possibilità di finire in galera per vilipendio al Capo dello Stato, nel caso in cui lo Stato scegliesse come vile capo il poco onesto statista di cui sopra.

Ma ora basta guardare al passato: rivolgiamoci al futuro, e poniamoci una semplice domanda: avremo un criminale al Quirinale?

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La dilapidazione dei pani e dei pesci

Un paio di anni fa ai lettori di Bue punto zero è stata proposta l’affermazione secondo cui il problema più grande che gli abitanti del pianeta Terra hanno di fronte è lo squilibrio nell’accesso alle risorse essenziali per il sostentamento. Questa ardita proposizione era stata debolmente sostenuta con un riferimento alle esternazioni del World Economic Forum, la cui opinione in generale immagino non interessi a nessuno. Mi aspetto invece che, nel caso medio, la reazione all’affermazione proposta sia: può essere, ma –ammesso che ce ne siano– i problemi riguardano solo quelli che stanno dalla parte sbagliata dello squilibrio, quindi chissenefrega.

Qualcuno un po’ più illuminato potrebbe paventare tumulti, rivolte, conflitti, atti terroristici, migrazioni di massa, che a lungo andare estenderebbero il loro impatto anche su chi si trova dalla “parte giusta”. Questa eventualità per quanto realistica non rende giustizia alla complessità e alla gravità della situazione, e per questo vorrei ora argomentare l’affermazione iniziale affrontandola non genericamente da un punto di vista etico o sociale, ma da un punto di vista molto più specifico: quello ecologico.
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Carenza di anticorpi

Una caratteristica fondamentale degli anticorpi è quella di attivarsi in maniera rapida e spontanea quando c’è bisogno di loro, senza aspettare l’assenso del sistema nervoso centrale. Quest’ultimo potrebbe essere addormentato, concentrato su altre attività, o semplicemente molto pigro, ma in un organismo sano la risposta immunitaria ad un patogeno avverrebbe ugualmente e con la stessa efficacia.

Che cosa accadrebbe invece se al contrario prima di attivare le difese immunitarie ciascuno di noi dovesse attendere di prendere coscienza della situazione e deliberare poi una serie di contromisure? La risposta è facile: l’infezione avrebbe buon gioco nel diffondersi capillarmente, e gli interventi messi in campo per arginarla sarebbero tardivi e quasi del tutto inefficaci.

Quest’ultima frase purtroppo riflette esattamente quanto è successo in questi mesi in gran parte delle nazioni del pianeta, mettendo a nudo negli organi responsabili della prevenzione su larga scala un dilettantismo a dir poco disarmante.
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La loro Africa

Forse nel futuro ci sarà una qualche storia
africana, ma al presente non ve n’è alcuna:
esiste solo la storia degli europei in Africa.

Hugh Trevor-Roper

Adesso basta, è veramente troppo. La misura è colma. Rimane una sola soluzione possibile: chiudiamo le frontiere. Niente e nessuno deve più passare. E non voglio sentire parole buoniste: nessuno si azzardi a dire “restiamo umani” o altre vuote frasi ad effetto del genere. Guai anche a chi propone: “aiutiamoli a casa loro”. No: che si arrangino!

Forse qualche lettore di Bue punto zero potrebbe a questo punto ritrovarsi in uno stato di incipiente perplessità. Ma come: dopo che hai cercato di convincerci che i confini non hanno più ragione di esistere, dopo che hai brutalizzato e sbeffeggiato alcune delle principali tesi salviniane, ci proponi affermazioni di questo stampo? Sarà forse che la figuraccia rimediata recentemente ti ha dato alla testa? Insomma, ti sei bevuto il cervello? O vuoi prenderci in giro?

Be’, capisco queste rimostranze, ma in realtà c’è una spiegazione più semplice. Il fatto è che ci può essere una certa distanza tra la teoria e la pratica. Per quanto riguarda la teoria, confermo tutto quello che ho già scritto. Quando si pone però il problema di mettere in pratica idee così astratte, può darsi che ci si ritrovi a scendere a compromessi. Può darsi che il percorso per arrivare all’obiettivo sia tortuoso. In alcuni casi l’azione da intraprendere può essere paradossale. Come quasi tutti i bovini, anche Bue punto zero è fedele al Tao, e quindi gli pare naturale che per innalzare qualcosa, prima la si debba abbassare; che per raddrizzare si debba piegare; che per riempire si debba svuotare; che per unire si debba dividere.
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Se questo è un uomo

Se questo è un uomo

Le cose viste e sofferte mi bruciavano dentro, mi sentivo più vicino ai morti che ai vivi. Poi lo stesso mio scrivere diventò un’avventura diversa, non più l’itinerario doloroso di un convalescente, ma un costruire lucido: un’opera di chimico che pesa e divide, misura e giudica su prove certe, e s’industria di rispondere ai perché.

P. Levi

Matteo Salvini ha annunciato che si recherà all’Istituto Tecnico Industriale “Vittorio Emanuele III” di Palermo per l’apertura del prossimo anno scolastico, con il proposito di spiegare che è sbagliato accostare leggi razziali e difesa dei confini.
Mi permetto di suggerire al Dirigente Scolastico dell’Istituto, o al suo eventuale incaricato, la prolusione a questo elettrizzante evento.

Duemilacinquecento anni fa, anno più anno meno, Siddhartha Gautama detto il “Buddha” suggeriva ai suoi discepoli: “Riconosci te stesso in ogni essere”.
Cinque secoli più tardi, Yehoshua di Nazareth detto il “Cristo” affermava: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poco importa se i due personaggi a cui sono attribuite queste parole le abbiano davvero pronunciate. Sta di fatto che esse, accompagnate da molti altri insegnamenti correlati, sono state sospinte dal vento della storia rispettivamente verso oriente e verso occidente, fino ad abbracciare tutto il mondo, e oggi, stando alle statistiche, sono più di tre miliardi le persone che si riconoscono in almeno una delle due citazioni.

Non è certamente tra i nostri obiettivi fare proselitismo religioso, così come non ci interessa la propaganda politica. Qui siamo in una scuola, qui siamo interessati ad una cultura finalizzata allo sviluppo del senso critico, al ragionamento, all’analisi e alla comprensione del mondo che ci circonda. Ci sta a cuore, soprattutto, l’educazione civica delle giovani generazioni.
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