Quasi una tautologia

Se mi chiedessero qual è la mia parabola evangelica preferita, sarei sulle prime tentato di sceglierne una tra quelle più apertamente paradossali: quelle che, all’interno di una situazione tratta dalla vita quotidiana, propongono uno sviluppo del tutto controintuitivo e inatteso, incompatibile con ogni comune logica umana. Alla fine probabilmente però ne indicherei una che si trova esattamente agli antipodi, e per la precisione questa:

Un uomo aveva due figli; si rivolse al primo e disse: “Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna”. Rispose: “Non voglio”; dopo però, pentitosi, andò. Il padre si rivolse al secondo e disse allo stesso modo. Ed egli rispose: “Vado”; ma non andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?

Qui non si trova proprio nulla di paradossale; al contrario la risposta alla domanda è del tutto ovvia e scontata. Per chi non conoscesse il significato del termine “tautologia”, ne è un esempio lampante proprio questa frase: Il figlio che ha compiuto la volontà del padre è quello che ha fatto ciò che il padre gli ha ordinato.

Che senso ha quindi proporre una parabola tautologica, la risposta alla cui domanda conclusiva è elementare e non dice nulla in più del suo presupposto?

La soluzione del dilemma è semplice: la parabola fa ricorso a poche semplici parole per sbattere brutalmente in faccia agli ipocriti — in primo luogo a quelli che detengono posizioni di potere — la loro ipocrisia nella sua forma più nuda e spudorata; è evidente che l’efficacia del risultato è tanto maggiore quanto più la forma della parabola che lo persegue è elementare e disarmante.

Se ai tempi di Gesù l’ipocrisia era così diffusa e radicata da meritare il primo posto nella lista dei nemici del Regno di Dio, va detto che oggi non siamo messi meglio. Basta prendere in considerazione la classe politica, che è, almeno in uno stato democratico, espressione altamente rappresentativa della popolazione che vota per essa.

Se vi capita di ascoltare il discorso di un personaggio politico e sentirgli dire cose che vi suonano un po’ strane, vi propongo un esperimento: provate a sostituire alcune parti del discorso con il loro opposto. Supponiamo che il politico in questione ad un certo punto dica: “è in cima alle nostre priorità”; provate a sostituire queste parole con: “non ce ne frega assolutamente nulla”. Può darsi che il risultato appaia molto più convincente. Come il secondo dei due figli nella parabola, costui sta dicendo una cosa, mentre il suo pensiero e le sue azioni concrete si trovano all’esatto opposto.

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Plagio funebre

Dal punto di vista strettamente giuridico potrà forse non essere facile da dimostrare, ma personalmente sono convinto che si tratti di uno dei casi di plagio più clamorosi degli ultimi anni.

Il testo originale è la vivida descrizione dello yankee che Luigi Illica e Giuseppe Giacosa incastonarono nel libretto della Madama Butterfly:

Dovunque al mondo
lo Yankee vagabondo
si gode e traffica
sprezzando i rischi.

   Affonda l’ancora
   alla ventura,
   finché una raffica
   scompigli nave, ormeggi, alberatura.

La vita ei non appaga
se non fa suo tesor
i fiori d’ogni plaga,
d’ogni bella gli amor.

   Vinto si tuffa,
   la sorte racciuffa.
   Il suo talento
   fa in ogni dove.

Per chi non conoscesse la trama, quello che ho riportato è l’autoritratto di Franklin Benjamin Pinkerton, tenente della Marina degli Stati Uniti di stanza a Nagasaki, il quale “per gioco” sposa la quindicenne Cio-Cio-San, lasciandole credere che si tratti di vero amore. Dopo aver abbandonato la fanciulla, Pinkerton torna in patria dove si sposa “con vere nozze”, mentre Cio-Cio-San nella sua sconfinata fiducia e devozione continua ad attendere il suo ritorno. Non vi anticipo il resto della storia, ma basta sapere che il sottotitolo dell’opera è “Tragedia giapponese” per farsi un’idea abbastanza precisa di come va a finire.

Il corpo del reato, invece, è il testo di un’omelia pronunciata qualche giorno fa dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini.

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La cattiva notizia

1 In principio era il denaro, e il denaro era presso il potere, e il potere era corruzione. 2 Venne Bettino a predicare il latrocinio della pecunia pubblica, e molti lo seguivano. Ma egli diceva loro: “Dopo di me viene uno che è più forte di me: io vi ho rubato gli spiccioli, ma lui vi lascerà in mutande”. 3 E venne anche Silvio per farsi battezzare, e quando uscì dall’acqua vide aprirsi i cieli e le reti Mediaset scendere su di lui. E si sentì una voce dal cielo: “I programmi riprenderanno dopo la pubblicità”.

4 Lo Spirito condusse allora Silvio su una nave da crociera e lì lo lasciò per quaranta giorni e quaranta notti, sottoposto ad ogni tentazione. 5 Quando vide che iniziava ad annoiarsi, il diavolo lo riportò in città, lo pose sulla guglia più alta del tempio e gli disse: “Guarda, tutto questo regno con tutta la sua ricchezza e la sua gloria può essere tuo”. E Silvio rispose: “Qua la mano, affare fatto”.
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Out & outing

Palazzo Lombardia, nuova sede della Regione

Oggi ricorre un mese dal giorno della liberazione di Palazzo Chigi dal priapismo, ma in quella stessa sera del 12 novembre 2011 un altro evento memorabile ha avuto come protagonista un personaggio politico di indiscusso rilievo: Roberto Formigoni. L’attuale Governatore del principale feudo di CL, di cui il nostro è esponente di spicco, eletto per la quarta volta consecutiva nonostante la legge vieti la rielezione dopo due mandati consecutivi, è quello che ha distrutto un bosco nel cuore di Milano, bene inalienabile del Comune, per fare spazio ad un grattacielo, il più alto d’Italia, nel quale dislocare i propri uffici, e che avendo preso molto sul serio la storia della torre di Babele ha precauzionalmente collocato sulla sua sommità una copia della statua della Madonnina benedetta dal cardinal Tettamanzi in persona; è quello che ha fatto eleggere come consigliere l’igienista mentale del Cavaliere grazie a centinaia di firme false; uomo pio al limite dell’integralismo, è tra i firmatari di una lettera aperta rivolta ai cattolici italiani per chiedere loro di sospendere ogni giudizio morale nei confronti dell’onorevole Silvio Berlusconi, a processo a Milano per concussione e prostituzione minorile nell’ambito di ricevimenti il cui appellativo (costituito da un’anafora, o meglio reduplicazione, forse onomatopeica) prima di entrare nel lessico comune come sinonimo di sobri dopocena in morigerata compagnia, era usato per designare violenza anale di gruppo.

Il nome di Formigoni era apparso in una lista di presunti cripto-omosessuali omofobi, della quale  a suo tempo Bue punto zero si era occupato, criticandone l’impostazione e soprattutto l’assenza di prove. Il commento del Governatore a proposito di tale lista era stato pacato: “Fantasie malate di personaggi inqualificabili, non perdete tempo a seguire queste sciocchezze estreme”

Un po’ meno pacato è apparso il gesto che Formigoni ha rivolto nella memorabile serata del 12 novembre ad alcuni contestatori: un pugno chiuso con il dito medio proteso verso l’alto dei cieli. Potrebbe sembrare un gesto osceno e volgare, ma essendo Formigoni un fervente cattolico, il suo gesto deve essere contestualizzato. E il contesto naturalmente non può che essere quello dei dettami evangelici, che il Governatore è chiamato dalla propria coscienza a rispettare scrupolosamente. Egli non si produrrebbe mai, specie in pubblico, in una violazione del comandamento che impone ai fedeli di amare i loro nemici, fare  del bene a coloro che li odiano e benedire coloro che li maledicono, e questa considerazione lascia intuire che il gesto che molti potrebbero considerare offensivo, per il suo autore sia al contrario da intendersi come un gesto di amorevole benedizione. Ma soprattutto Formigoni non può dimenticare, neanche per un attimo, neppure quando invita qualcuno a sottoporsi ad un atto di sodomia, di essere chiamato a fare agli altri ciò che vorrebbe che gli altri facessero a lui.

Sarebbe bastato attendere un paio di mesi e la prova mancante sarebbe stata fornita, con l’eleganza e la classe che lo contraddistinguono, dal Governatore in persona.